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Atrani

Atrani

Alla foce della valle del Dragone Atrani è adagiata ai piedi dei monti Lattari, la propaggine marina dell’Appennino campano che porta fino al mare Tirreno le sue dolomie di roccia calcarea. La cittadina è pressoché nascosta nella valle del Dragone – uno dei tanti valloncelli scavati dai torrenti che si sono fatti strada nell’impervio territorio dei Lattari – a poche centinaia di metri a sud di Amalfi, da cui la divide soltanto la sottile parete del monte Aureo.
Il toponimo di Atrani ha origini molto incerte. Lo studioso salernitano Pasquale Natella suggerisce invece l’ appartenenza della radice alla lingua di tribù irpine e apule, e la fa derivare dall’etrusco atru, simile all’umbro atre, (da cui poi anche il latino ater), nero. Quest’ultimo etimo, col significato di “uscente da anfratti oscuri”, rimanderebbe alla posizione del paese.
La storia di Atrani si inscrive completamente in quella di Amalfi, di cui è stata dipendenza dai tempi del ducato fino al Cinquecento. Le due città insieme costituiscono il primo esempio di conurbazione, di fusione cioè di due centri abitati che mantengono però ciascuno la propria identità. Ad Atrani erano decentrate alcune importanti funzioni statali, e la città costituiva il sobborgo più nobile di Amalfi, dove abitavano i nomi più altisonanti dell’aristocrazia amalfitana e dove venivano seppelliti i dogi. È qui, in quello che oggi è un minuscolo villaggio, che avveniva la cerimonia più importante di Amalfi medioevale: la vestizione e investitura solenne dei dogi, che nella Chiesa di San Salvatore ricevevano il “birecto’, il berretto su cui erano i simboli e le insegne dell’autorità. Da questo sembra provenire la denominazione della chiesa come “San Salvatore de Birecto”.
Atrani manteneva comunque, rispetto ad Amalfi e a differenza di altri borghi della costiera, la propria individualità: era, come Amalfi, insignita del titolo di Civitas, e i suoi abitanti erano gli unici a mantenere, al di fuori della città, la propria denominazione di Atranienses, mentre tutti gli altri abitanti della costiera venivano genericamente detti Amalphitanes. Inoltre, come risulta da antichi documenti quale il “Codex Amalphitanum”, di incerta datazione, gli atranesi partecipavano, soli con gli amalfitani, alla designazione e deposizione del capo dello Stato e degli arcivescovi.
Atrani fu anche un importante centro del monachesimo medioevale. Fu sede di almeno sei cenobi benedettini, e conobbe una grande diffusione della religiosità di rito greco-orientale, che trovò espressione negli eremitaggi costruiti nella roccia come quello di San Michele Arcangelo, vicino alla porta settentrionale della città, risalente all’XI secolo, uno dei più suggestivi esempi di chiese rupestri, o il monastero dei Santi, risalente al IX secolo di cui non restano che i ruderi e alcuni interessanti affreschi.
Nel periodo della sua massima floridezza Amalfi aveva attirato moltissimi nuovi residenti. È a questo punto che i borghi cominciarono a moltiplicarsi sia sulla costa sia all’interno per la scarsa capacità insediativa del capoluogo, divenendo piuttosto prolungamenti dellentità urbana più forte a cui erano legati sia per le attività economiche che per le tradizioni sociali e civili. Il processo di identificazione con Amalfi è visibile anche dall’architettura che non fa che ripeterne il modello, costretta a quello anche dalla conformazione geografica dei siti Atrani costituisce oggi un originale aggregato edilizio di origine medioevale, un piccolo borgo nel cui abitato, stretto intorno alla piazza Umberto I, si ripetono i moduli tipici dell’architettura costiera, con i tetti a botte di derivazione greco-orientale. Un percorso labirintico si snoda verso l’alto con case aggrappate alla roccia e costruite una sull’altra, quasi una nell’altra in un intrico di sottopassi, gallerie, supportici e scalinate,  per cui stretti cunicoli conducono a piazzette nascoste, gallerie passano sotto le abitazioni aprendosi su cortili segreti: un intrico che ha da sempre sollecitato la fantasia di artisti famosi.